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Rivista "Stile"

1941-1947
Pubblicazioni;
Opere realizzate;

Nel lusso degli inizi e nella povertà del poi, Stile vive e brucia due temi: l'Italia e l'arte, gli architetti e la guerra. In partenza Stile è, mentalmente, a fianco di Aria d'Italia -la Verve italiana, con molta più verve- rivista fondata da Daria Guarnati, geniale parigina in Italia. Verve ospitava, con solennità, i grandi artisti francesi. Aria d'Italia ospita, con divertimento, i grandi artisti italiani. E così Stile: che segnala gli scritti di de Chirico, le poesie di De Pisis, la pittura di Martini, i pensieri di Nervi, i film di architetti (BBPR), mentre su carta colorata scrivono Gatto, Bontempelli, De Libero, Sinisgalli, Irene Brin. Ma in Stile c'è, in più, il salto (vero salto) del fare (con Carlo Pagani e Lina Bo) un mensile d'arte con un editore (Garzanti) che non è d'arte, e farlo vivere con la pubblicità non d'arte, e con un pubblico che è anche fuori dall'arte. Il genio di Gio Ponti è in questo rivolgersi a tutti, non separando nemmeno arte e arti, per far cogliere le parentele fra le moltissime cose che sono espressione, ornamento o strumento della nostra vita e della nostra incantevole casa.

Un clima, magico e immobile, di guerra d'arte per l'Italia. Ma già il Palazzo della Civiltà Italiana all'E42 appare a Ponti un funebre manichino di architettura. E il suo entusiasmo per la perfetta e totale simultaneità dell'arte antica e moderna, e per il far riconoscere gli architetti come artisti (Mollino principalmente un artista, Libera un artista estremamente architetto) e i poeti come artisti (leggere Ungaretti, leggere Emilio Villa), insomma il suo voler salvare le unità isolate, ora sembra isolarlo dalla storia.

Sarà dal 43 al 45, con la rivista diventata povera, che il dolore puro (fatto speranza pura, in quello che un architetto può fare) avvicinerà Ponti, nell'isolata Italia, ad altri solitari appassionati, intenti a quello che il senno di poi fa apparire un sogno. Sogno, una visione geniale senza potere.

Numeri interi dì Stile sulla ricostruzione, sull'unificazione, sull'urbanistica, sulla casa per tutti, con Michelucci, Mollino, Pica, Vaccaro, Libera, Vietti, Bottoni, Banfi. E decine di progetti regalati (dai mobili-tipo di Mollino alle piccole case di Ponti) per la ricostruzione di quegli oltre venti milioni di vani che servono all'Italia. Anche se è immaginario il popolo di architetti cui Ponti rivolge il suo appello-decalogo Politica della Architettura, è reale la sua rivista povera, stampata con mezzi minimi, inventata nella grafica fitta, nero-rosso-nero, positivo-negativo, e nei continui neretti. Costruire, non ricostruire (Ponti sognava che non si ricostruisse il teatro alla Scala o Agli imitatori della pittura di Van Gogh s'ha da dire: tagliatevi un orecchio. Ponti pubblica quello che legge: Van Gogh, Dostoevskij, Lee Masters, Rubino Rubini.

Stile tiene con stile finché Ponti ne fa il suo ossessionato diario, scrivendo con ventidue pseudonimi, postillando tutto. Vede la guerra come un mettere al mondo il mondo, eppure non prevede il nuovo mondo. Il non voler uscire dalla propria stanza, alla fine stancò Ponti per primo. Se ne uscì da Stile (ancor prima di lasciare la rivista) attraverso le copertine. Cioè, dal 45 al 47 sono le sue copertine, disegnate e dipinte, a dire con arte il suo pensiero.