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Denver Art Museum

1971 Denver, Colorado (U.S.A.)
Miscellanea;
Opere realizzate;

Collaboratori
James Sudler, Joal Cronenwett, consulenza Otto Bach direttore del Museo

Perché questi profili curvilinei, alla sommità dei muri? Guardate le piante e vedrete che questi profili sono l'ideale proiezione verticale di un disegno orizzontale, con le sue belle curve. Sono la proiezione celeste del profilo terrestre delle piante.Questo è possibile (parla sempre Ponti) quando i muri sono, come qui, un puro recinto intorno al volume racchiuso, un recinto che prosegue salendo oltre il roof-garden. Sono muri il cui compito è solo quello di trasformare visivamente il volume statico del museo (due cubi di sei piani, giustapposti) in una sequenza di immagini verticali, staccate, mutevoli nel gioco delle ombre, e piene di tranelli per catturare la luce con le loro scintillanti superfici in piastrelle di vetro a diamante, almost a million of specially designed faceted glass tiles, each hand-set. Questo museo verticale è a luce artificiale. I muri non hanno finestre, ma hanno, pontianamente, feritoie. Feritoie da cui si godono, da dentro, impreviste vedute sottili sulla città e sulle lontane Rocky Mountains. Feritoie che di notte si illuminano, spettacolo per la città. Il museo fu subito detto, a Denver, il castello the castle, the fortress. Ciò piaceva a Gio Ponti (l'arte è un tesoro, e queste mura sottili ma gelose lo proteggono), ma spingeva anche a dire: L'arte sia dentro i musei solo nelle opere che temono luce, caldo, freddo, acqua, neve, vento, ladri. Ma l'arte vivente sia fuori, come a Venezia, come nelle villes d'art (perché Denver non lo deve essere? con l'architettura. Il progetto è di Gio Ponti con James Sudler e Joal Cronenwett, e con la consulenza di Otto Bach, direttore del museo.